27 dicembre 2021

Abitare il proprio corpo: il senso di interezza

L’intelletto può giudicare le cose del mondo, può tematizzarle, oggettivarle, solo perché queste cose sono già
esposte a un corpo che le vede, le sente, le tocca, sono già solidali con esso, in quell’unità naturale e pre-logica che
fa da sfondo a ogni successiva costruzione logica. Il mondo infatti è “già là”, offerto al nostro corpo prima di ogni
giudizio e di ogni riflessione, così come il nostro corpo è già esposto al mondo in quel contatto ingenuo che
costituisce la prima e originaria riflessione.” (Umberto Galimberti, Il corpo).

Cosa vuol dire abitare il proprio corpo? La parola “abitare” suggerisce l’idea della casa, del sentirsi a casa. Possiamo
allora immaginare il nostro corpo come tale: l’intonaco è la nostra pelle, il sistema tegumentario; i pilastri il nostro
sistema scheletrico, tutte le altre pareti costituiscono invece quello muscolare, che conferisce una precisa
disposizione degli spazi, e all’interno di essi sono contenuti i vari organi. Possiamo immaginare, ancora, che il nostro
sistema linfatico sia l’impianto elettrico e l’illuminazione, dove scorre l’energia, la linfa che arriva al cuore. E ancora
più all’interno tutti ritmi del nostro corpo, le pulsazioni, i flussi che scorrono, i rumori, costituiscono il movimento
che rende abitata la casa.

Vi sarà capitato di vederne molte e nonostante alcune si somiglino nella forma, nella
geometria degli spazi, nella scelta dell’arredamento coartata dal mercato, ognuna contiene in sé qualcosa di unico
e speciale. Potremmo dire che è la sua anima, qualcosa che va oltre tutte le caratteristiche che la compongono. Un
corpo abitato è un corpo con un focolare acceso, c’è una luce al suo interno, si vede. C’è vita che si muove. Come
in quelle case in cui si può scorgere il movimento intimo, caldo, privato, di chi le abita, carpito dalla finestra
illuminata che lascia intravedere il dentro. C’è calore diffuso. I nostri corpi si scaldano quanto più possiamo sentirci
a nostro agio, intimi con noi stessi, con il nostro interno. E con l’esterno.

Galimberti, prima citato, ci ricorda che noi siamo corpi nel mondo e non esiste nessun corpo senza mondo.
Nasciamo attraverso e in un mondo altro, che è innanzitutto un altro corpo, quello della madre. Ciò che abbiamo a
disposizione nell’essere “messi al mondo” sono originariamente le nostre sensazioni. La nostra casa è già illuminata:
sentiamo, esistiamo, ma è solo più tardi che sviluppiamo il senso di noi stessi, la consapevolezza di essere “soggetti”
separati dal corpo-mondo della madre, individui distinti che fanno ingresso nel proprio spazio-tempo, ed allora le
sensazioni diventano auto-percezione, coscienza di sé, consapevolezza.

Le zone che abbiamo investito di erotizzazione durante le fasi dello sviluppo sono diventate parti costituenti di un intero che siamo noi, il nostro personale “senso dell’esserci”. Gli occhi hanno incontrato lo sguardo d’amore e la vita al loro interno ha iniziato a scorrere, l’eros li ha raggiunti, fisicamente, energeticamente, trasformandoli da semplice “visione” a “sguardo” vivo, mobile, espressivo. La nostra bocca ha incontrato il nutrimento, si è “attivata” nel succhiare, poi nel mordere, ha incontrato il piacere e si è mobilitata nel riceverlo. La nostra testa è stata sostenuta quando non potevamo ancora sorreggerla autonomamente e il nostro cuore è stato calmato. Le braccia hanno ricevuto linfa nell’abbraccio e nel desiderio di protendersi hanno mantenuto l’eccitazione, l’energia vitale. Così i nostri organi interni hanno risposto all’ambiente armonizzandosi con il flusso vitale, in un rapporto costante tra il dentro e il fuori, incontrandola sensualità infine con tutta la bellezza e complessità in essa racchiuse. Con il pudore, il  conflitto, il desiderio, la ricerca di un confine che alla psiche “conviene”. In un rapporto mai facile, la cui complessità è del tutto soggettiva e strettamente legata ai corpi-mondi con cui la persona in divenire si incontra.

Geppetto costruisce Pinocchio assemblando pezzi di legno scolpiti, crea una forma, ma è solo nel “rapporto” che i
due hanno che il burattino diviene vivo. È l’amore di Geppetto a renderlo vivo, ad erotizzarlo al punto che egli esista
davvero. E sarà l’amore, l’Eros di Pinocchio verso il padre, la sua affettività, la ricerca di quel babbo che teme di
aver perso, a trasformarlo in un bambino vero. Siamo così tanto complessi quanto complesso è il mondo relazionale
al quale apparteniamo e da cui veniamo. È possibile che questa “nascita” della presenza nel mondo, per alcuni,
debba ancora avvenire. È possibile che per altri ci sia bisogno di ripercorrerla. È possibile che “l’esserci” di alcuni
debba essere recuperato nella memoria.

Una memoria che vive nel corpo e nel riaffiorare di ricordi. In un ri-vivere
emozionale, sensoriale, conoscitivo. Cosicché il nostro senso di unità ed interezza, generato dal soffio vitale su tutto
ciò che siamo, sia accessibile a noi stessi e continui ad esserlo. Rappresentando esso il senso profondo di noi, la
percezione di esseri presenti e vivi, in cui ciò che ci costituisce è unito, non frammentato, non disconnesso dalla
percezione, ma presente a noi come parte integrante, come senso dell’esserci: proprio; soggettivo; personale.

Concludo con un suggerimento di un film, del 2019, che si intitola “Dov’è il mio corpo” (“J’ai perdu mon corps”,
titolo originale) che è la trasposizione in immagini del romanzo di Guillaume Laurant ( Happy Hand), il quale
racconta della storia di una mano che ha perso il suo corpo. Jeremy Clapin, il regista, la fa vivere in prima persona
nel film e, dal laboratorio di dissezione anatomica di Parigi, nel quale era finita, essa inizia il suo cammino verso
l’agognato corpo dal quale è stata separata. È una storia d’amore a più livelli, una memoria corporea racchiusa nella
mano, che continua a ricordare. Un po’ come succede nell’arto fantasma, che continua a fornire informazioni al
resto del corpo come fosse ancora lì, come a ricordarci che la presenza di ciò che ci costituisce va oltre la fisiologia,
va oltre le singole parti, in questo oltre che definiamo psiche, all’interno della quale è incluso il corpo: tra la
personale attribuzione di senso e il rapporto che con esso abbiamo.

Eleonora Fronio

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