29 giugno 2016

Psicoanalisi e psicoterapia, quali differenze?

di Carmela Emilia Cancellaro

 

La formazione dello psicoanalista è stata una questione difficile fin dagli albori, Freud scrisse già nel 1926 un articolo su questo tema, “Il problema dell’analisi condotta da non medici”, per opporsi ad un progetto di legge che, in Austria, voleva riservare l’esercizio della psicanalisi ai soli medici. L’articolo difende l’analisi laica e descrive i talenti che un analista deve possedere, talenti che poco avevano a che fare con gli studi di medicina. Ciò che occorre per diventare analisti è un’adeguata preparazione al di là di qualsivoglia titolo legale. Anche Lacan, come Freud, riconferma che la psicoanalisi deve essere laica, e che può avere soltanto statuto soggettivo; la formazione e poi l’attività dell’analista dipendono da un tempo soggettivo, non cronologico o legato a un certo numero di moduli didattici.

Freud, come Lacan, pensava che un futuro analista dovesse possedere un sapere eclettico, conoscere non solo le discipline relative al campo psicologico, ma potersi librare anche fra gli altri saperi umanistici e non. L’aspirante psicoanalista si forma innanzitutto attraverso la propria analisi personale condotta da uno psicoanalista e, successivamente o in concomitanza con la fine della sua analisi, con la supervisione della propria pratica clinica presso altri psicoanalisti. Per la formazione dello psicanalista è importante anche l’attività svolta dentro scuole psicanalitiche, un legame sociale originale, che sia fondato sullo studio ed il trattamento dei problemi sollevati dalla pratica analitica stessa: in particolare l’analisi dell’analista, la formazione dei curanti, e la trasmissione del discorso analitico.[1] Le Scuole e i Forum[2] (per es. Forum Psicoanalitico Lacaniano) si pongono come comunità di riferimento per ciascuno, permettono di studiare, approfondire e confrontarsi con i colleghi escludendo un pericoloso lavoro in “solitudine”.

Psicoterapia e Psicoanalisi

È abbastanza infrequente incontrare dei pazienti pronti a una psicoanalisi, il lavoro di ascolto inizia con dei colloqui preliminari che servono al terapeuta a raccogliere dati clinici sulla persona e ad orientarsi in qualche ipotesi diagnostica, e a permettere quella che Lacan definisce la “rettifica soggettiva”, cioè che il soggetto si riconosca implicato nel disordine e nella sofferenza di cui si lamenta e si assuma la responsabilità della sua implicazione.

Stando alla teoria dei quattro discorsi di Lacan, deve avvenire un’isterizzazione del discorso del soggetto: accettare che i propri sintomi e i propri conflitti siano enigmatici e vadano decifrati permette l’entrata in analisi, diversamente da ciò che avviene in una psicoterapia in cui si fa ricorso al discorso del padrone i cui mezzi sono la suggestione e la persuasione.

La psicoterapia <<ha una breve storia ma una lunga preistoria>> come afferma Tullio Bazzi nel libro “Le psicoterapie”, le sue origini sono da ricercare tra i riti magici e lo sciamanesimo, le tecniche di ipnosi, passando per il mesmerismo di fine ‘700. Negli anni ’50 del ‘900, in Italia, si parla di psicoterapia medica. Agostino Gemelli nel 1953 afferma: <<Non vi è una psicoterapia specifica […] il medico che cura il nevrotico caso per caso deve scegliere la terapia […] comunque e soprattutto non vi è a questo mondo solo la psicoterapia psicoanalitica>>.

Freud sottolinea le differenze tra il metodo analitico e l’ipnosi, riprendendo la distinzione di Leonardo da Vinci tra la pittura e la scultura: <<In maniera del tutto analoga, Signori, la tecnica della suggestione, cerca di agire “per via di porre”, non curandosi della provenienza, della forza e del significato dei sintomi patogeni, ma sovrapponendovi qualcosa, vale a dire la suggestione, dalla quale essa si attende che sia abbastanza forte da impedire all’idea patogena di manifestarsi. La terapia analitica, invece, non vuole sovrapporre né introdurre alcunché di nuovo, bensì toglier via, far venire fuori, (“per via di levare”) e a tale scopo si preoccupa della genesi dei sintomi morbosi e del contesto psichico dell’idea patogena che mira a eliminare>>[3].

Riguardo il pensiero di Lacan, Miller ci spiega nel suo articolo “Psicoterapia e psicoanalisi”[4] che la domanda del paziente è sempre una domanda di psicoterapia, quello che viene chiesto è di stare meglio, e che se si intraprende la strada della psicoanalisi dipende dalla posizione di colui che lo ascolta e dal destino che darà alle parole del paziente. La differenza di posizione tra un terapeuta e uno psicoanalista dipende dall’uso del transfert: si tratta di decidere se usare la suggestione per orientare il paziente e porsi come meta identificatoria per l’altro o, invece mettere all’opera, rinunciando al potere della suggestione e della persuasione, quello che Lacan chiama il “desiderio dell’analista” attraverso cui “il soggetto incontra la questione del suo desiderio al di là dell’identificazione”[5].

Con desiderio dell’analista, Lacan, non vuole riferirsi alla persona dell’analista o ai suoi affetti ed emozioni nella cura, bensì è interessato alla natura del desiderio che lo anima nell’esercizio della sua pratica. Non si tratta solo di un desiderio di curare, ma è una vera passione per la verità, come quella che animava Freud al punto di mettersi contro tutta la comunità scientifica del suo tempo. Il desiderio dell’analista per Lacan, smarca l’analista dalla funzione tradizionale di alleviamento della sofferenza, occupata socialmente dal prete e dal medico. L’analista vi partecipa, produce effetti terapeutici, ma il suo desiderio è altrove rispetto alla guarigione del paziente: è più nel permettere al soggetto di dire bene ciò che vuole, la verità del suo desiderio e di potersene fare carico nella sua esistenza.

È il desiderio dell’analista a permettere l’instaurarsi del transfert nell’asse simbolico del soggetto supposto sapere e che rende quindi possibile all’analizzante di compiere il proprio lavoro di elaborazione su quanto di enigmatico riporta il suo discorso rispetto alla natura del suo desiderio. Il desiderio dell’analista è il prodotto dell’analisi, fattore determinante nella formazione dell’analista e punto di fondamentale differenza con uno psicoterapeuta non analitico. È la mutazione nell’economia del suo desiderio (che avviene nella sua analisi) che gli permette di non soccombere al vortice delle passioni con cui l’analizzante lo investe nel corso della cura.

 

[1] Dal sito: http://www.champlacanien.net/public/5/epPresentation.php?language=5 pagina dedicata alla Scuola di psicoanalisi

[2] Questi forums traggono la loro origine remota dallo scioglimento, nel 1980, della Scuola di Lacan, l’EFP. Essi si sono dati l’obiettivo di sostenere una Scuola di psicoanalisi che permetta di garantire lo studio della psicoanalisi e di orientare la sua pratica.

[3]S. Freud, Psicoterapia, Opere, Vol. IV, Bollati Boringhieri, Torino 1989, pag 432

[4]J.A. Miller, Psicoterapia e psicoanalisi, in Atti del Convegno su psicoterapia e psicoanalisi, Astrolabio, Roma, 1992

[5]J.A. Miller, Psicoterapia e psicoanalisi, Op. cit., pag. 30

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