30 dicembre 2020

Lo spazio delle donne

Ottobre 1928, Università di Cambridge. Virginia Woolf viene invitata a partecipare a un ciclo di conferenze presso i college femminili dell’illustre ateneo britannico: le si presentano davanti agli occhi giovani studentesse avide di sapere, smunte, insicure. Il contrasto con la sicurezza e la spavalderia di loro colleghi uomini, fa salire a Virginia il sangue al cervello, diremmo oggi. Perciò consiglia alle studentesse di prendere in affitto una stanza singola nella quale potersi ritirare e bere vino. Le riflessioni venute fuori dalle due conferenze verranno poi raccolte nel celebre saggio “Una stanza tutta per sé”, che verrà pubblicato l’anno seguente. “Una stanza tutta per sé e cinquecento sterline annue di rendita sono le condizioni minime necessarie per la donna che scrive” è la regola dettata da Virginia Woolf, per chi, come lei nutrisse il desiderio ambizioso della scrittura.

Condizione difficilmente raggiungibile per la stragrande maggioranza delle donne dell’epoca: storicamente le scrittrici avevano sempre dovuto barattare il loro tempo per permettersi il lusso di riempire fogli di inchiostro. “Jane Austen […] ha scritto i suoi romanzi seduta a una piccola scrivania in mezzo alla stanza dove tutti potevano disturbarla, costretta a interrompersi continuamente e nascondere i fogli sotto la carta assorbente per correre ad assolvere qualche impellente incombenza familiare.”ⁱ Insomma tra fine ‘800 e i primi del ‘900 le donne reclamano spazio fisico e peso sociale, sfilando per le strade di Londra e New York di bianco vestite a far sì che fosse loro riconosciuto il diritto al voto.

Dopo la seconda guerra mondiale anche in Italia viene finalmente concesso spazio e riconoscimento alle donne, a partire da quelle che avevano combattuto sul fronte partigiano come staffette, e che all’indomani della Liberazione, si trovano finalmente sedute con i compagni maschi al tavolo della Costituente. Si apre da qui un processo che con il riconoscimento del voto alle donne per decreto, nel 1945, porterà le donne italiane sulla strada della lotta per il riconoscimento dei propri diritti. Sarà poi sull’onda del movimento di controcultura partito dall’Università di Berkley e giunto fino in Europa, che il ’68 italiano mette in discussione anche il ruolo di genere.

Betty Friedan nel suo saggio “La mistica della femminilità” introduce il concetto di “problema inespresso”, riferendosi alla catena di cause e concause che portano inevitabilmente la donna verso un sicuro insuccesso nella vita. Abbagliate dal mito del matrimonio e della maternità, le donne finirebbero inevitabilmente a rimanerne intrappolate. Scrive Betty Friedan: «Ritengo che le loro energie sprecate continueranno a essere distruttive per i mariti, per i figli e per loro stesse, finché non verranno adoperate in un proprio rapporto con il mondo. Ma quando le donne, al pari degli uomini emergono dalla vita biologica per realizzare la propria piena umanità, il resto della loro vita può diventare il tempo delle più alte soddisfazioni». L’alternativa dunque esiste, e occorre aprire le porte di casa e delle università, per far sì che anche le donne possano ambire alla propria realizzazione.

Le femministe italiane degli anni ’60 e ’70 che scendono in strada e occupano piazze e università, cambiano radicalmente l’immagine e l’immaginario femminile. Negli anni ’70 e ’80 viene ottenuto il riconoscimento del diritto al divorzio e all’aborto, nei primi anni del 2000 viene lacerato il soffitto di cristallo, nel momento in cui finalmente le donne ottengono la possibilità di accedere ai vertici di aziende e cariche politiche.

E oggi?

La stanza di cui parlava Virginia Woolf, che doveva servire alla donna non solo per poter scrivere, ma che era una metafora per poter dire “questo spazio è mio…. Ho anche io il mio spazio privato, che mi possa far riflettere, pensare, riconoscermi al di là del mio ruolo nella società”, dove è finito? Che strada ha preso il senso di partecipazione al femminile, la lotta, la difesa dei propri diritti? Ebbene negli ultimi 10 anni le donne, in tutto il mondo, sono scese in piazza per due motivi: per non essere più ammazzate (Non una di meno) e per denunciare i propri stupratori (Me Too).

Che spazio è stato occupato? Quello del corpo: stiamo reclamando il semplice diritto di poter vivere, di poter scegliere liberamente anche solo lo stile di vita da condurre. E’ una completa involuzione, ci troviamo davanti a un totale fallimento sociale, etico, culturale. In Polonia, nel 2020 si scende in piazza per difendere il diritto all’aborto, che viene minacciato dai partiti di destra, tra le conseguenze della pandemia c’è la perdita di posti di lavoro soprattutto del settore femminile, ancora in Italia e in molti altri paesi del mondo, a parità di ruolo lavorativo, le donne guadagnano meno degli uomini.

Sopra di noi non c’è più un soffitto di cristallo, dal quale almeno si poteva vedere filtrare la luce, le future generazioni di giovani donne dovranno combattere tutte insieme per riconquistare i propri diritti e difendere i propri spazi, per riuscire a liberarsi dal peso di una lastra in marmo, che vorrebbe tenerle sepolte e ricacciarle nelle stesse condizioni del secolo precedente.

Brigida Gullo

 

ⁱ “Lessico familiare” Sandra Petrignani

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